Non sono nato a Milano e ci abito da un tempo relativamente breve, poco più di dieci anni, ho pure un certificato di residenza che mi consentirà, tra qualche settimana, di contribuire a cacciare fuori dai coglioni il peggior sindaco che questa città abbia mai avuto da che mi ricordi io (e la lista di imbroglioni è davvero lunga eh...). Tranquilli, non è un post sulla campagna elettorale, per quella bastano gli agghiaccianti manifesti che mi scorrono davanti agli occhi tutti i giorni mentre giro in bicicletta, ma su un libro che parla del posto in cui abito, "Muori Milano muori!" di Gianni Miraglia. La cosa strana è che lo sto leggendo, quindi non ho tutti gli elementi per farne una recensione corretta - un po' come parlare di un disco dopo aver sentito solo il lato A -, ma mi va di raccontarvelo e consigliarvelo lo stesso. Principalmente perché, sebbene sia ambientato di qualche anno nel futuro (poco prima dell'apertura dell'Expo 2015, con un Berlusconi appena morto), mi racconta la Milano del presente, quella dell'inquinamento a livelli record ma che costruisce il giardino verticale (e come si visiterà, con le corde da arrampicata?), quella della disoccupazione sempre più alta, della piazza da intitolare a Craxi, dell'immigrazione selvaggia e senza nessun tentativo di integrazione, quella della polizia ovunque e delle ronde e dei manganelli, dei locali chiusi perché è meglio non rompere le palle e stare a casa, della casbah di Via Padova, dei grandi manager e dei designer. Insomma, la Milano da bere anni Ottanta che risorge, la Grande Oliva, la città dell'aperitivo, che si avvicina a enormi falcate al suo appuntamento più importante, 'sto cazzo di Expo 2015, travolgendo tutto quello che trova sul suo cammino, perché tutto è sacrificabile.
L'odore di merda che è una costante del libro di Miraglia e che caratterizza la storia quasi in ogni momento - colpa di un guasto alle fognature, ma pure della quantità di concime usato per le nuove aree verdi e del caldo di uno strano aprile - me lo sento anche io nelle narici tutti i giorni, mi perseguita da pagina uno e non capisco se è un buon segno oppure no. La lettura però, nonostante un senso d'ansia di fondo che me la rende faticosa (e questo è un ottimo segno), scorre abbastanza rapida e regala momenti di grande piacere. Addirittura godimento personale quando l'autore scopre ulteriormente le carte - lo aveva già fatto col primo romanzo, intitolato "Six pack", come il pezzo dei Black Flag. A un certo punto, uno dei personaggi, l'ex-assicuratore impazzito che vende merce usata/rubata dietro alla stazione, ricorda al protagonista alcuni amici americani licenziati a causa del fallimento della Bevis Co. e snocciola cinque nomi: Jonathan Richman, Terry Hall, Richard Lloyd, James Osterberg e Johnny Genzale. Ovvero: Modern Lovers, Specials, Television, Iggy Pop e Johnny Thunders, nell'ordine. Che questa lista, poi, si trovi (casualmente?) tra le pagine 76 e 77, non fa che allargare il mio sorriso. Vado a leggermi le restanti 100 pagine, poi magari vi racconto il resto...