venerdì 9 luglio 2010
diari della bicicletta
In un modo o nell'altro ho sempre amato David Byrne, fin da quando ero ragazzino. A dire il vero, il primo disco dei Talking Heads non mi ha mai fatto impazzire, a parte "Psycho killer" che come facevi a non amarla? Poi però è stato un crescendo: le Polaroid di "More songs...", i primi accenni funky di "I zimbra", "Remain in light" che resta uno dei miei dieci dischi preferiti di sempre, l'album con Brian Eno, "Stop making sense" con quel vestito oversize incredibile. Ho scoperto la musica brasiliana grazie a "Beleza tropical" e che dire di "Rei momo"... Insomma, avete capito. Per cui vedere il suo nome abbinato a un libro sulla bicicletta, mia attuale passione malata, mi ha convinto a comprarlo senza stare troppo a pensarci. L'ho terminato in un attimo, tre/quattro giorni al massimo, e ve lo consiglio anche se delle bici vi frega poco. Byrne scrive molto bene e le sue disamine sulle città che ha attraversato pedalando sono meditate, intelligenti, ricche di humour, stimolanti. Proprio come i suoi dischi migliori, proprio come mi sono sempre immaginato lui, "same as it ever was". Leggetelo.