martedì 3 agosto 2010

i don't care about you

È una di quelle notizie che corre il rischio di passare inosservata. Invece la scomparsa di Derf Scratch - vero nome Frederick Milner -, straordinario bassista dei Fear, autentica leggenda del punk losangelino, è l'ennesima pessima notizia di un anno che rischia di diventare uno dei peggiori, almeno a livello "funerario". Una malattia incurabile non ben definita si è portata via un altro dei protagonisti (minori forse, ma sempre protagonista rimane) di una stagione musicale irripetibile, quella dell'hardcore a stelle e strisce. I Fear, per chi non lo sapesse, erano un gruppo molto particolare, guidato da un pessimo elemento come Lee Ving e su cui sono sempre circolate le peggio voci: violenti, razzisti, ubriaconi, finti punk. La leggenda che li voleva "in it for the money" (e quanti non lo erano, in realtà?) li ha accompagnati per tutta la carriera, alimentata anche da dichiarazioni degli stessi protagonisti che spesso avevano preso le distanze dalla musica punk e avevano in qualche modo avallato la tesi. Quel che è certo è che, almeno all'epoca, di soldi col punk non se ne facevano proprio e dubito fortemente che i Fear si siano arricchiti suonando canzoni "commerciali" come "I don't care about you" e "I love livin' in the city", il cui testo "commerciale" recitava: "My house smells just like a zoo, It's chock full of shit and puke , Cockroaches on the walls, Crabs are crawling on my balls, oh well I'm so clean cut, and I just want to fuck some slut". Perfetto per le radio, vero?
Veniamo ai motivi per cui invece i Fear sono passati alla leggenda, almeno alla mia, che di quella ufficiale ce ne siamo sempre fregati. Innanzitutto hanno inciso un disco capolavoro, "The record", ricco di classici come i due pezzi citati in precedenza e altri che si chiamano "New York's alright if you like saxophones" (ah che belli i tempi delle rivalità cittadine...), "Beef baloney", "Let's have a war". Non erano una band politicizzata, credo lo abbiate capito, ma rappresentavano la corrente più nichilista e "fun" del punk, quella alimentata da birra, droga e violenza, ma osteggiata dai fans del politically correct a tutti i costi. Disco ovviamente da recuperare (magari assieme al film documentario "The decline of western civilization" di Penelope Spheeris in cui i Nostri appaiono), fondamentale per capire quell'epoca d'oro e perché fossero il gruppo punk preferito di John Belushi. Il comico di "Animal house", dopo la sbandata blues diventò un fanatico genuino del punk rock e dell'hardcore, partecipando a concerti, supportando la scena, trascinandosi dietro i Fear in qualunque occasione. La più clamorosa - http://virb.com/bellyache/videos/1733702 - fu quando li invitò a suonare dal vivo al Saturday Night Live, la trasmissione di cui era uno dei protagonisti assoluti. Assieme ai Fear, già sinonimo di disastro, si presentò anche una crew di punk di Washington D.C., capeggiata da Ian MacKaye, futuro Minor Threat e Fugazi, all'epoca giovane ribelle nel pieno della fase distruttiva. L'esibizione dei Fear fu caratterizzata da una violenza incredibile, con migliaia di dollari di danni allo studio e all'attrezzatura e con un Belushi che faceva slam dancing con la stessa furia dei ragazzini. Manco a dirlo, la diretta tv fu tagliata, al comico fecero un culo così e il punk fu bandito per anni dalle trasmissioni televisive. Ciao Derf, ci mancherai!